Nella Gazzetta Ufficiale dello scorso 4 gennaio 2013 è stato
pubblicato il D.M. 24 dicembre 2012, con il quale si stabiliscono le
modalità di determinazione sintetica del reddito complessivo delle
persone fisiche.
Disinnescare quella che è stata giustamente
definita una bomba ad orologeria. Ecco cosa sta cercando di fare in
questi giorni l’Agenzia delle Entrate. Nel mese di gennaio abbiamo
assistito ad una vera e propria escalation di panico, dovuta alla
diffusione di informazioni in merito al funzionamento del redditometro,
con il quale da marzo gli uffici procederanno al controllo della
veridicità dei redditi dichiarati dal 2009 in poi. Va detto che il
panico e l’indignazione generale verso il nuovo strumento accertativo
non sono certo stati frutto di una erronea interpretazione delle
modalità operative del redditometro. A tal proposito ne ricostruiamo
brevemente il funzionamento, alla luce delle recenti novità in materia.
Nella Gazzetta Ufficiale dello scorso 4 gennaio 2013 è
stato pubblicato il D.M. 24 dicembre 2012, con il quale si stabiliscono
le modalità di determinazione sintetica del reddito complessivo delle
persone fisiche.
Diversamente dal vecchio redditometro, che prendeva
in considerazione solo determinati beni indice di capacità contributiva
(auto, immobili, imbarcazioni, aeromobili), la nuova versione dello
strumento accertativo in oggetto, nel determinare il reddito presunto di
un contribuente, considererà tutti i seguenti elementi:
a) le spese di cui l’Amministrazione finanziaria è in possesso, grazie alle banche dati dell’Anagrafe tributaria;
b)
le spese medie risultanti dalle indagini ISTAT, (per consultarle
seguire il seguente percorso: www.istat.it – Datawarehaouse I.Stat –
Condizioni economiche delle famiglie e disuguaglianze – Consumi – Spesa
media mensile familiare per tipologia familiare) in particolare la quota
parte, attribuita al contribuente, dell’ammontare della spesa media
ISTAT riferita ai consumi del nucleo familiare di appartenenza, così
determinata:
- la percentuale corrispondente al rapporto tra il
reddito complessivo attribuibile al contribuente ed il totale dei
redditi attribuibili al nucleo familiare
- la percentuale
corrispondente al rapporto tra le spese sostenute dal contribuente ed il
totale delle spese dell’intero nucleo familiare, risultanti dalle
informazioni presenti nel sistema informativo dell’Anagrafe tributaria,
qualora vi sia assenza di redditi dichiarati dal nucleo familiare.
c)
spese riferite a beni e servizi, cui alla tabella A del D.M. 24.12.2012
derivanti da analisi e studi socio-economici, anche di settore;
d)
gli incrementi patrimoniali, intesi al netto dei disinvestimenti
effettuati nell’anno e dei disinvestimenti netti dei quattro anni
precedenti all’acquisto dei beni;
e) la quota di risparmio riscontrata, formatasi nell’anno.
Nella
tabella A allegata al D.M. 24.12.2012 sono appunto indicate le spese
che rilevano ai fini del redditometro, con annotazione di quelle che
vengono valutate sulla sola base degli elementi presenti in anagrafe
tributaria, di quelle che possono essere determinate sia mediante tale
dato sia tramite il ricorso alle risultanze dell’ISTAT e/o a specifiche
analisi di settore, ed infine gli investimenti effettuati.
Per le
spese di cui l’Anagrafe tributaria è già a conoscenza, gli uffici
attingeranno alle 128 banche dati, non senza difficoltà almeno iniziali.
Le diverse banche dati, infatti, presentano ancora problemi
strutturali: le informazioni contenute spesso non possono essere
intrecciate, in quanto costituite da dati disomogei o immessi ancora in
modo manuale all’interno. In queste banche dati sono contenuti, ad
esempio, i dati del Pubblico Registro Automobilistico, in generale tutte
le informazioni la cui comunicazione è obbligatoria (attraverso
spesometro, comunicazione dei contratti di leasing e noleggio, beni
concessi in uso ai soci di società, comunicazioni degli intermediari
finanziari, etc). Per le voci di spese per le quali gli uffici
procederanno ad un confronto tra spese effettivamente sostenute, i cui
dati sono disponibili nell’anagrafe tributaria, e il valore medio ISTAT,
scelto in base alla tipologia familiare e territoriale, è stabilito che
venga considerato il più alto tra questi due valori. Ma l'Agenzia potrà
applicare i valori Istat in ogni caso o solo quando sarà a conoscenza
che il contribuente ha sostenuto effettivamente quel tipo di spesa? Dal
testo del decreto pare che il fisco possa procedere ad un confronto solo
quando sia in possesso di elementi che provino che il contribuente
abbia effettivamente sostenuto, sotto il profilo quantitativo, quel tipo
di spesa. D'altronde, è realistico considerare la diversità dei
comportamenti di spesa dei contribuenti: in particolare non per forza
tutti i contribuenti sostengono tutte le voci di spesa elencate nella
tabella A del D.M. 24/12/2012. Così che sembra vagamente accettabile che
i valori Istat debbano trovare applicazione solo quando questi
risultino più alti rispetto all'ammontare delle spese, sostenute dal
contribuente, e note all’amministrazione.
Una dovuta considerazione
per difendersi da un eventuale accertamento è relativa all’utilità di
fornire agli uffici, al momento della richiesta di informazioni da parte
dell’ufficio o in sede di contraddittorio, la documentazione di
determinati tipi di acquisti (per esempio alimentari, abbigliamento,
beni e servizi per la casa, cancelleria, libri e giornali). Quando, per
queste tipologie di spese, prevalgono i valori Istat, potrebbe essere
sostanzialmente inutile produrre scontrini e ricevute, per giustificare
che l'importo di spesa effettivamente sostenuto è inferiore: l'Agenzia
potrebbe, infatti, semplicemente sostenere che non sono stati prodotti
tutti i documenti giustificativi. La spesa rilevata da studi
socio-economici varrà solo per imbarcazioni, aeromobili e cavalli.
Vi
sono poi due voci di spesa, per le quali valgono soltanto i valori
figurativi: si tratta del fitto figurativo (quando il contribuente abita
in un’abitazione che non è di sua proprietà o su cui non ha altro
diritto reale, né risulta in locazione né data in uso gratuito da
familiari, il fisco considererà un valore calcolato moltiplicando il
valore del fitto mensile al mq, basato sui dati dell’OMI, cat. A/2 x 75
mq x numero mesi), e dei pasti e consumazioni fuori casa (in questo caso
si applica il valore della spesa media Istat). Anche in questo caso, è
da ritenere che tali valori figurativi potranno trovare applicazione
solo se l'Agenzia avrà elementi (in questo caso non necessariamente
quantitativi) che facciano supporre che il contribuente sostenga quel
tipo di spese.
Per gli investimenti (beni immobili, beni mobili,
polizze assicurative, contributi previdenziali volontari, azioni, quote
di partecipazione, conferimenti, obbligazioni, finanziamenti, fondi di
investimento, buoni postali fruttiferi, certificati di deposito, conti
deposito vincolati, derivati, valuta estera, oggetti d’arte e
d’antiquariato, oro, numismatica, filatelia, manutenzioni straordinarie
delle unità abitative, donazioni ed erogazioni liberali), l’art. 38 del
PDR 600/73 prevede che gli incrementi patrimoniali siano imputati quale
maggior reddito per intero nell’anno del sostenimento. Tuttavia, più
razionalmente, il dettato del D.M. 24.12.2012 prevede che gli
investimenti non vadano valutati per l’intero ammontare della spesa, ma
al netto sia del mutuo o del finanziamento ottenuto ad esempio per
l’acquisto di un immobile, sia dei disinvestimenti effettuati nell’anno
accertato e nei quattro precedenti.
Un’ultima osservazione in merito
al funzionamento del redditometro concerne la condizione oggettiva in
base alla quale gli uffici possano procedere ad un accertamento. Come è
stato correttamente osservato (Fiaccadori, “Il calcolo dello scostamento
rilevante nell’accertamento sintetico”, Il Fisco, 37/2012), sebbene la
norma testualmente preveda che “il reddito complessivo accertabile
ecceda di almeno un quinto quello dichiarato”, dal tenore letterale e
nell’ottica di colpire gli scostamenti più significativi, sarebbe
corretto calcolare lo scostamento del 20% diminuendo quello
sinteticamente individuato dagli accertatori e verificare se il
risultato così ottenuto rientra o meno nella forbice consentita.
Tuttavia la prassi consolidata degli uffici opera calcolando la
percentuale di scostamento del 20% sul reddito dichiarato, così che si
ottiene uno scarto ammesso inferiore perché la base di calcolo è un
reddito dichiarato (generalmente) minore rispetto al reddito
accertabile.
Si è parlato di redditometro quale strumento di
compliance, un incentivo a che il contribuente dichiari un reddito
coerente con la capacità di spesa manifestata. Ma la realtà si dimostra
ben diversa. Se si considera che - oltre alle spese effettivamente
sostenute, i cui dati sono già in possesso dell’anagrafe tributaria - il
fisco considererà principalmente medie statistiche, riferite a nuclei
familiari individuati in base alle sole informazioni a disposizione e in
riferimento solamente a 5 macroaree territoriali, incapaci di
rappresentare le numerose microrealtà italiane, è evidente che il
redditometro non sarà assolutamente in grado di fotografare in modo
automatico la posizione fiscale di ciascun contribuente. Da qui la
preoccupazione dovuta al rischio che il redditometro individui come
redditualmente incompatibili un elevato numero di soggetti, tanto che si
è arrivati a parlare di stato di polizia fiscale.
Esclusione dei
pensionati, franchigia di 12000 € e controlli numericamente limitati:
queste le contromisure prese in questi giorni dall’Amministrazione
finanziaria per frenare le reazioni e tranquillizzare i contribuenti con
redditi modesti. Nello specifico, con il comunicato stampa del 20
gennaio l’Agenzia delle Entrate ha precisato che “i pensionati, titolari
della sola pensione, non saranno mai selezionati dal nuovo
Redditometro”. Inoltre ha confermato quanto espresso nei giorni passati,
“ossia che già in fase di selezione, le posizioni con scostamenti
inferiori a 12 mila euro non saranno prese in considerazione”. Questo
sembra il minimo, se si considera che in base alla Convenzione annuale
con il Ministero dell'Economia, l'Agenzia delle Entrate dovrà effettuare
ogni anno 35 mila controlli utilizzando il redditometro. Questo perché
“l'azione sarà efficace se diretta a individuare casi eclatanti e non di
leggeri scostamenti tra reddito dichiarato e quello speso”.
È
evidente che l’utilità e l’efficacia del redditometro dipenderanno dalla
reale capacità di selezionare i soggetti sui quali incentrare l’azione
di recupero. Certamente apprezzabile il progetto dell’amministrazione di
assegnare un risk score generalizzato per ogni contribuente, sulla cui
base verranno predisposte le liste selettive di contribuenti a rischio
evasione per la campagna dei controlli 2013. Se è vero che il
contribuente selezionato avrà ben due momenti di confronto con
l’Amministrazione (invito a fornire informazione e il contraddittorio), è
altrettanto vero che non è così semplice per tutti partecipare a questo
confronto (basti pensare ad un contribuente medio che si può sentire
intimidito dalla pretesa del fisco, non sapendo come difendersi nel
momento in cui si vedrà attribuite spese che non ha sostenuto, non
potendole giustificare con redditi inesistenti!). Quindi è fondamentale
che il redditometro coinvolga il contribuente solo a ragion veduta e in
presenza di un disallineamento quantitativamente e qualitativamente
notevole, nel rispetto della reale forza economica dell’individuo.
Per ulteriori articoli in materia di redditometro potete consultare la sezione dedicata nel sito ACCERTAMENTO REDDITOMETRO
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento