L’acqua dell’Etna causa tumori - l'ipotesi delle università siciliane

L’acqua che sgorga dal profondo dell’Etna provoca tumori? è l’ipotesi formulata da una ricerca condotta dagli istituti di endocrinologia delle tre università siciliane in collaborazione con l’Osservatorio epidemiologico e l’Agenzia regionale per l’ambiente. L’indagine è partita dalla rilevazione che nel territorio della provincia di Catania un particolare tipo di tumore alla tiroide (il cosiddetto “papillifero”) registra un notevole aumento di casi rispetto alla media italiana: 31,7 per mille nelle donne, 6,4 per mille negli uomini contro medie nazionali rispettivamente del 14,1 e del 3. E siccome altre ricerche avevano già evidenziato che la situazione nel catanese è paragonabile a quella delle Hawai, è stato immediato il collegamento ai vulcani, unico elemento in comune tra le due aree.

Una prima analisi dell’acqua che sgorga sotto forma di emissioni di vapore e dalle falde più profonde dell’Etna, la stessa che rifornisce gran parte del capoluogo e dei comuni adagiati sulle coste del “Mongibello”, ha confermato la presenza di ferro, boro, manganese, vanadio e radon in livelli molto al di sopra della massima concentrazione ammissibile. «In quell’acqua ci sono metalli pesanti potenzialmente pericolosi – spiega la dottoressa Gabriella Pellegrini, responsabile esecutivo della ricerca –, ma non abbiamo ancora, né sappiamo se l’avremo, la spiegazione scientifica di un rapporto causaeffetto tra queste sostanze e l’insorgenza dei tumori”.

Pubblicata sul Journal National Cancer Istitute di Oxford (una delle più importanti riviste del mondo nel campo dell’oncologia) la ricerca condotta in Sicilia sta suscitando grande interesse nella comunità scientifica, in particolare nelle aree del mondo in cui ci sono vulcani attivi. Ma, intanto, cosa si può fare per fronteggiare la situazione nell’area etnea? Il direttore dell’Istituto di endocrinologia di Catania, dottor Riccardo Vigneti, formula una proposta minimalista, considerato che anche il semplice filtro dell’acqua da vulcano esige «un intervento economicamente molto oneroso ». E allora: «In alternativa si potrebbe tenere conto di studi fatti sempre in ambito universitario che hanno immaginato di miscelare l’acqua dell’Etna con quella proveniente da altri bacini idrici in modo da abbassare drasticamente la concentrazione di metalli pesanti». Servono comunque studi incrociati, multidisciplinari e mirati: è di vitale importanza anche il fattore antropico dell’inquinamento.

In generale, comunque, è utile ricordare che oggi il tumore alla tiroide si cura bene: è poco aggressivo e, se non viene trascurato ma diagnosticato in tempo, oggi non fa più paura. Ma il deputato Giorgio Jannone (Pdl), che oltretutto è bergamasco e quindi non personalmente interessato a quando accade all’altro capo del Paese, ha segnalato questa vicenda con una interrogazione ai ministri Ambiente e Salute ponendo una questione più generale: ammesso che questa ipotesi sia verificabile, non sarebbe il caso di «cominciare la registrazione dei livelli di elementi pesanti su tutto il territorio nazionale, dal momento che la maggior parte del sottosuolo è di origine vulcanica, e in particolare l’area che va dall’Alto Lazio alla Sicilia?». Ed è possibile attuare un piano di tutela ambientale «simile a quello realizzato in Sicilia, per evitare una maggiore incidenza di inquinamento ambientale da sostanze vulcaniche? E infine: perché non realizzare un registro in cui attestare la salubrità dei territori vulcanici?». Chissà se, e quando mai, Prestigiacomo e Fazio risponderanno…

fonte: www.terranews.it

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