Le famiglie italiane sempre più in difficoltà e piene di debiti

All’attivo ci sono 264 miliardi di euro in meno rispetto a un anno fa. Al passivo, cioè nel capitolo dei debiti, ci sono quasi 21 miliardi di euro in più. In estrema sintesi, questi numeri raccontano che cosa è accaduto ai conti delle famiglie italiane nell’era della grande crisi. Certo, non dicono tutto. Non spiegano per esempio che il patrimonio finanziario delle famiglie, 3.500 miliardi di euro tra soldi liquidi, depositi bancari e postali, titoli di Stato e obbligazioni private, azioni, quote di fondi comuni o polizze vita e fondi pensione, è ancora ingente. E neppure indicano che i debiti, 643 miliardi di euro per larga parte concentrati nelle fasce più ricche della popolazione, sono lontani anni luce dai livelli raggiunti dalle famiglie negli Usa o nei principali paesi europei. Ma sono sufficienti per capire che la crisi ha morso anche la carne viva, ovviamente a cominciare da quella dei meno abbienti.

Basta andare oltre le cifre generali, come ha fatto Panorama, per verificare infatti che in un anno la crisi ha spinto le famiglie a moderare in modo notevole i consumi e a cambiare radicalmente le scelte relative ai propri soldi. Al passivo ci sono meno carte revolving (grazie alle quali gli acquisti si pagano a rate), meno finanziamenti per l’acquisto di auto, di motorini, di frigoriferi, di mobili e invece più cessioni del quinto sullo stipendio; meno mutui per l’acquisto di immobili e più mutui per ristrutturare il debito. All’attivo risultano più depositi e titoli di Stato e meno azioni e fondi comuni.
In particolare, secondo i dati della Banca d’Italia, nel giugno scorso le famiglie italiane avevano oltre 66 miliardi di euro in più rispetto allo stesso mese del 2007 tra soldi liquidi, conti correnti bancari e soprattutto depositi postali (vedere la tabella a pagina 124). Nello stesso periodo, e nonostante il rapporto critico tra clienti e banche, anche la quota relativa alle obbligazioni bancarie in mano alle famiglie era cresciuta di circa 59 miliardi di euro. In aumento sono risultati pure i titoli di Stato in mano alle famiglie, ma tutto il resto ha fatto registrare un calo. Clamoroso è stato quello relativo ad azioni e partecipazioni societarie: oltre 305 miliardi di euro in meno, un dato provocato insieme dalla discesa dei valori e dalle vendite. Non meno rilevante è stata la fuga dai fondi comuni: oltre 84 miliardi di euro in meno sono risultati nei conti finanziari delle famiglie. E va segnalata infine anche la flessione relativa alle riserve tecniche di assicurazione, un aggregato che comprende polizze vita e fondi pensione.
In sostanza, nel complesso le famiglie italiane hanno ancora una ricchezza finanziaria consistente. Ma la crisi ne sta erodendo il valore e la scarsa dinamica dei redditi che ha caratterizzato gli ultimi anni sta spingendo gli italiani a utilizzarne una parte per vivere. «Non ci vuole molto a capirlo» dice Mauro Novelli, dell’Adusbef, associazione dei consumatori: «Basta vedere anche i dati della Banca d’Italia sulla quantità decrescente di soldi messi da parte ogni anno dalle famiglie italiane: 83,6 miliardi nel 2004; 71,2 nel 2005; 68,0 nel 2006; 51,8 nel 2007».
Ancora più interessante è il capitolo dei debiti. I dati della Banca d’Italia segnalano che in un anno i prestiti a breve termine contratti dalle famiglie sono aumentati di un paio di miliardi di euro e che i debiti a medio e lungo termine sono cresciuti di quasi 17 miliardi di euro. Dal punto di vista macro non sono somme da allarme rosso. «Gli italiani sono i meno indebitati tra i cittadini dei paesi Ocse. E neppure lontanamente la situazione è paragonabile a quelle degli Stati Uniti o di Gran Bretagna, Germania e Francia» assicura Umberto Filotto, segretario generale dell’Assofin, l’organizzazione che rappresenta le società finanziarie. Ma anche in questo caso quando si scende dai dati generali a quelli più particolari emerge una realtà molto variegata.
Anche se la gran parte del debito è concentrata, in Italia, sulle spalle delle famiglie più abbienti e quindi non determina crisi di restituzione, oggi, secondo un recente lavoro di Giorgio Gobbi e Silvia Magri della Banca d’Italia, cominciano a esserci anche problemi di sostenibilità. Riguardano «le fasce di famiglie che si sono indebitate per acquistare l’abitazione» e che stanno nella parte bassa nella scala della distribuzione del reddito. Quante sono? Le stime variano tra 150 e 300 mila nuclei in sofferenza, perché l’onere relativo al mutuo nel loro caso rappresenta in media più del 40 per cento di quanto entra nelle casse familiari ogni mese.
Al di là di questi casi di difficoltà, il peso delle rate immobiliari e la frenata del mercato del mattone sono testimoniati anche dall’andamento più complessivo dei mutui casa, rilevato dall’Osservatorio Assofin: rispetto allo stesso periodo del 2007, nel primo semestre del 2008 vi è stata una flessione delle somme finanziate pari al 9,8 per cento, determinata dalla combinazione di una drastica frenata dei mutui destinati all’acquisto di immobili con una crescita di quelli volti invece a sostituire o a surrogare i debiti contratti in precedenza.
Cambiamenti importanti ci sono stati anche nel settore del credito al consumo, cioè nei prestiti contratti dalle famiglie per acquistare beni meno importanti di una casa. La prudenza nella quantità e nella qualità dei consumi indotta dalla crisi ha infatti provocato una radicale svolta nelle scelte delle famiglie italiane. Secondo i dati dell’Osservatorio Assofin nei primi nove mesi del 2008 e rispetto allo stesso periodo del 2007, sono risultati in netto calo i prestiti destinati all’acquisto di automobili nuove (meno 11,6 per cento) e di auto usate (meno 9,8 per cento), di motocicli (meno 17,7 per cento), di elettrodomestici (meno 19,5 per cento) e di mobili (meno 8,6 per cento).
Un autentico boom ha invece caratterizzato, nello stesso periodo, i prestiti contratti dalle famiglie e che dovranno essere restituiti attraverso la cessione del quinto dello stipendio o della pensione. Nel complesso, i crediti di questo tipo sono ammontati a 3,7 miliardi di euro, il 31,6 per cento in più rispetto al 2007. Ma con una fortissima accelerazione tra i pensionati. Un miliardo e 434 milioni sono finiti infatti ai dipendenti pubblici (più 13,2 per cento); 1,239 miliardi ai lavoratori privati (più 25,5 per cento); e 1,047 miliardi ai pensionati, con una crescita di addirittura l’82,9 per cento rispetto ai primi nove mesi dell’anno scorso.
Sono dati significativi: segnalano che la realtà complessiva ancora è positiva rispetto a quella di altri paesi industrializzati, ma che vi sono anche alcune aree di difficoltà. «Il problema oggi è rappresentato sicuramente dai redditi bassi, anche se è sbagliato generalizzare» dice Giuseppe Roma, direttore del Censis. E spiega: «Dal punto di vista sociale, ci sono alcune fasce, i giovani e gli anziani a basso reddito per esempio, o le famiglie con un solo genitore a basso reddito, che oggi vivono una fase di vero disagio. Dal punto di vista geografico, nel Mezzogiorno produrre reddito è diventato un problema. Ma va detto che ci sono anche aree del Paese, come il Centro-Nord, che sono allo stesso livello, anzi in molti casi stanno decisamente meglio per reddito e ricchezza, rispetto a Germania, Francia e Gran Bretagna».

Fonte: blog.panorama.it

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