Cosa è cambiato dopo 10 anni di Euro nelle tasche degli italiani

Un compleanno sofferto per l'Euro, soprattutto a causa delle recenti turbolenze finanziarie. Ma vediamo cosa è cambiato, in un decennio di moneta unica, nelle tasche degli italiani.

Mentre scriviamo, sulla graticola è Atene, alle prese con un’operazione di rientro dal debito pubblico che, se non dovesse andare in porto, potrebbe causare la sua uscita dall’eurozona. Crisi a parte, molte parole sono state spese sul reale impatto che l’introduzione della moneta unica ha avuto dal 2002 a oggi sulle tasche dei consumatori italiani. Abbiamo cercato di capire quanto, in realtà, ogni cittadino debba spendere oggi per accedere a una serie di servizi, dal trasporto pubblico all’energia, dalle telecomunicazioni ai ristoranti. Una fotografia che poi abbiamo confrontato con l’istantanea da noi scattata dieci anni fa. Ecco il risultato.
Il cammino (lento ma costante) dell’inflazione

Sulla base dei dati forniti dall’Istat, l’inflazione, cioè l’indicatore che misura il costo della vita in base all’aumento dei prezzi al consumo, è cresciuta in media del 2,3% annuo (nell’articolo consideriamo il periodo tra maggio 2001 e maggio 2011). Ciò significa che, in dieci anni, il prezzo di beni e servizi è lievitato di quasi un quarto rispetto al 2002. Un trend abbastanza costante, se si esclude il biennio 2007- 2008 (quello che ci ha preparato alla crisi mondiale, per intenderci), quando l’impennata del prezzo dei cereali, seguita da quella del petrolio, scatenò tensioni inflazionistiche a catena sui generi alimentari e sulle fonti energetiche.
Cereali: fra inflazione e speculazione

Emblematico, da questo punto di vista, il comportamento dei prodotti derivati dai cereali, pane in testa. Il loro indice, mantenutosi al di sotto dell’aumento generale del costo della vita fino al 2007, è in realtà salito nei dieci anni di euro del 33% (dieci punti in più dell’inflazione) proprio a causa dell’esplodere della bolla dei cereali. Una volta rientrata l’emergenza, tuttavia, il prezzo del pane non è ridisceso, come ci sarebbe potuto aspettare. Una tipica dinamica speculativa insomma, che è ricaduta sulle tasche dei cittadini, andando invece a gonfiare le borse dei produttori e, soprattutto, degli intermediatori finanziari.
Il ballo dei prezzi

Nonostante la crisi del 2007-2008 abbia fatto schizzare il prezzo dei cereali, l’aumento dei prezzi degli altri prodotti alimentari è stato invece sostanzialmente in linea con l’inflazione (+25,3% a fronte di un indice generale del 23%). Certo, alcune categorie merceologiche fanno eccezione. A cominciare dalle bevande alcoliche e dai tabacchi, il cui prezzo è cresciuto del 53%, dalle bollette dell’acqua e del gas (rispettivamente +52 e +34%), dai combustibili (+35%) e dai trasporti (+35%). Fra i settori meno colpiti dai rincari, invece, spicca quello delle comunicazioni: con segno negativo, -27,9% le tariffe, anche se in realtà i consumi sono cresciuti di molto, incidendo non indifferentemente sui bilanci familiari; hanno registrato incrementi sotto la media anche il settore sanitario (+2,8%), quello ricreativo e culturale (+10,9%), l’abbigliamento e le calzature (+17,9%) e l’arredamento (+20,5%). Leggermente sopra la media, invece, il trend fatto registrare dalle spese per l’istruzione (+26,5%) e per i servizi ricettivi e di ristorazione (+28,9%).
Non un salasso, inefficienze a parte

Non possiamo dire che il passaggio all’euro, dopo dieci anni di moneta unica, abbia rappresentato un salasso per i consumatori. Fatta eccezione per il biennio 2007-2008, l’inflazione, in fondo, è cresciuta in modo fisiologico. Tuttavia, a guardar bene, dietro questa crescita media si sono nascosti picchi che hanno fortemente penalizzato i consumatori, a cominciare proprio da quei beni di prima necessità, come l’acqua, la luce, il canone Rai e i trasporti che hanno registrato aumenti generalizzati - e molto spesso non giustificati - per le tasche dei cittadini.
In calo il potere d’acquisto

Nel corso degli ultimi dieci anni gli italiani si sono impoveriti. Se infatti i prezzi in media sono saliti del 21% (confrontando la media del 2001 con la media del 2010, periodo per cui sono disponibili i dati del reddito pro capite), non altrettanto - come confermato dalla contabilità nazionale dell’Istat - ha fatto il loro reddito pro capite (+14%).

Il risultato è che il nostro potere d’acquisto si è ridotto (-7%) influenzando alcuni comportamenti di spesa.

Per quanto riguarda i consumi alimentari, a fronte di un aumento dei prezzi del 25%, la spesa è aumentata solo del 13%, il che significa che i consumatori sono diventati più selettivi nelle loro scelte d’acquisto.

Inversa la dinamica delle Tlc. Navigare e telefonare è diventato meno costoso (-28%), ma la spesa è invece salita (+30%), poiché la quantità di ore passate al cellulare o su internet è cresciuta.

Colazioni sempre più salate
Andiamo a mangiare fuori. E poi passiamo la notte in un albergo. L’Istat segnala che il prezzo delle camere di alberghi e motel dal 2001 a oggi ha subìto incrementi piuttosto contenuti, nell’ordine del 17 per cento. Decisamente diversa la dinamica di bar e ristoranti, dove l’Istituto di statistica ha registrato aumenti medi di 33 punti percentuali. Dinamiche, certo, differenti da città a città. Il caffè, ad esempio, è cresciuto più a Roma (+35,5%) e a Napoli (+31,2%), mentre la pizza a Bari (45,2%) e a Milano (+44%).

fonte: Altroconsumo

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