I redditi delle famiglie sono sempre meno sufficienti a fronteggiare le spese necessarie per condurre una vita dignitosa.
E in un contesto caratterizzato da crisi economica, salari bassi,
aumento dei prezzi e perdita del potere d’acquisto, il ricorso
all’economia sommersa diventa una sorta di “ammortizzatore sociale” che
finisce per integrare i redditi disponibili.
C’è dunque fra gli
italiani uno “spread” fra ricchezza reale, redditi dichiarati e tenore
di vita delle famiglie, un differenziale soprattutto al Sud arriva a
livelli elevati. A evidenziare questo “Italian Spread” è l’Eurispes.
L’Istituto
ottolinea come “i redditi di una famiglia tipo in varie città del Nord,
del Centro e del Sud Italia non sono sufficienti a fare fronte alle
spese necessarie per condurre una vita dignitosa. Questo è il principale
fattore che spinge una percentuale sempre più elevata di persone a
cercare altre risorse attraverso soprattutto un doppio lavoro”.
Lo squilibrio tra entrate e uscite di cassa
finisce per indicare una ricchezza familiare “non dichiarata”. Per
l’Istituto di ricerca, le misure economiche adottate negli ultimi anni
hanno avuto effetti recessivi e hanno spinto parte della produzione e
della ricchezza verso il sommerso. Il fenomeno ha differenze
territoriali. Mettendo a confronto, spiega l’Eurispes, le principali
voci di entrata e uscita del bilancio di una famiglia italiana-tipo,
emergono differenziali significativi tra le diverse regioni del Paese
con il primato assoluto delle regioni del Mezzogiorno.
Lo
“spread” fra ricchezza dichiarata e benessere reale è più elevato in
Puglia, Sicilia, Campania e Calabria, mentre lo squilibrio fra entrate e
uscite di cassa – indice di una ricchezza familiare “non dichiarata” – è
minore nelle regioni del Centro Nord, in particolare in Valle d’Aosta,
Trentino-Alto Adige, Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna.
Solo un terzo delle famiglie arriva con serenità alla fine del mese,
evidenzia l’Eurispes, e una famiglia su quattro ricorre al credito al
consumo come integrazione al reddito per necessità contingenti. Sostiene
l’Eurispes: “In un contesto così severo, è innegabile che l’economia
sommersa può rappresentare una sorta di “camera iperbarica” dove un gran
numero di soggetti produttivi riprendono fiato quando l’atmosfera
economico-politica contingente diventa irrespirabile. Inoltre, il
sommerso mostra di avere dinamiche proprie, non correlate
necessariamente con l’andamento congiunturale dell’economia e più
resistenti alle fasi di crisi”.
L’Istituto stima che l’insieme
dell’economia “non osservata” nel nostro Paese abbia generato
nell’ultimo anno circa 530 miliardi di euro, pari al 35% del Pil
ufficiale che è intorno ai 1.540mld, una somma equivalente ai Pil
ufficiali di Finlandia (177 mld), Portogallo (162 mld), Romania (117mld)
e Ungheria (102mld) messi insieme. Un sistema economico parallelo, non
ufficiale, al quale si somma un’altra economia: quella criminale, il cui
fatturato l’Eurispes stima in almeno 200 miliardi di euro annui e i cui
proventi vengono in gran parte riciclati all’interno dell’economia
legale e in parte alimentano il sommerso stesso.
“Se di fronte
alla crisi economica e ad una pressione fiscale senza precedenti –
commenta Gian Maria Fara, presidente dell’Eurispes –, gli italiani non
danno ancora vita a manifestazioni spontanee di forte dissenso è solo
perché nel Paese è presente un’economia parallela che in mille modi e
sotto diverse forme, va ad integrare i redditi delle famiglie. Una sorta
di ammortizzatore sociale per milioni di italiani che sono
quotidianamente, insieme e a turno, vittime dell’evasione ed evasori
essi stessi”.
www.helpconsumatori.it
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