Negli ultimi venticinque anni il capitale finanziario multinazionale, piuttosto che negli investimenti e nel commercio, è stato impiegato nelle speculazioni sui mercati azionari internazionali, al punto da dare l’impressione che gli Stati Uniti siano diventati una colonia alla mercé dei movimenti di capitali internazionali.
Che portata ha, oggi, questo fenomeno sulla scena intemazionale? Per prima cosa dobbiamo fare più attenzione al linguaggio che utilizziamo, me compreso. Non dovremmo parlare semplicemente di “Stati Uniti”, perché non esiste una simile entità, così come non esistono entità come l’”Inghilterra” o il “Giappone”. Può darsi che la popolazione degli Stati Uniti sia “colonizzata”, ma gli interessi aziendali che hanno base negli Stati Uniti non sono affatto “colonizzati”.
A volte si sente parlare di “declino dell’America”, e se si osserva la quota mondiale di produzione che viene effettuata sul territorio degli Stati Uniti è vero, è in declino. Ma se si considera la quota di produzione mondiale delle aziende che hanno sede negli Stati Uniti, ci si accorgerà che non c’è alcun declino, anzi, le cose vanno per il meglio. Il fatto è che questa produzione ha luogo soprattutto nel Terzo mondo. Quindi possiamo parlare di “Stati Uniti” come entità geografica, ma non è questo ciò che conta nel mondo degli affari.
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