Signoraggio bancario e sistema fondato sul debito

Senz’altro ogni ente umano è sempre formato da parti, da singoli, ma non sempre, anzi mai, questo corpo è la somma dei singoli. L’addizione non funziona, e questo per un fatto semplice che risiede nella natura politica dell’uomo; di ciò possiamo trovare conferma nelle più arcaiche società, nella famiglia, fino all’ultima banda di periferia metropolitana. Lo stare insieme assume un significato che scavalca la somma individuale. Lo star insieme non è porre individui vicini, il suo valore, la sua forza, la sua essenza risiede nelle relazioni, amore e odio, passione e ragione, tra le parti, e come il tutto interferisce con l’esterno.
Ora, al di là delle convinzioni, parlare di certezze ideologiche in questi tempi sembra anacronistico, bisogna metterci d’accordo sul significato che si ha di pubblico, collettività, Stato e impresa privata, che sono pur sempre aggregati umani.
Certo che il privato, singolo e impresa, esercita la sua attività per passione e soddisfazione personale, ed entrambe le ambizioni, in una società libera, sono legittime. Ma è pur vero che il suo esercizio avviene in uno spazio non privato, quindi, anche se si tratta del più individualista del mondo dovrà comunque stabilire delle interazioni sociali pubbliche opportunamente regolate. Ma la domanda che vogliamo farci, che lega quindi il privato con un doppio filo al pubblico, è: possono servizi o esercizi di pubblica utilità essere gestiti da privati? Le risposte alle domande semplici sono spesso quelle più complicate, anche questo caso non fa eccezione.

Si potrebbe partire dal principio primo che l’ente associato Stato è quello che per sua natura svolge un ruolo pubblico per antonomasia. Non potrebbe essere diversamente, questo scopo deve essergli connaturale, pena la sua morte o riqualificazione. Pertinenze e confini di questo ruolo stabiliscono orientamenti politici differenti, gli stessi che hanno caratterizzato lotte ideologiche negli ultimi due secoli assecondo di volerli spostare più verso il valore di “uguaglianza”, o verso il valore di “libertà”.
La debolezza degli Stati odierna, dopo il crollo ideologico e pratico della “lotta di classe”, è quella di essersi ridotti ad aggregato di individui, questa somma di “uno” non stabilisce una volontà comune, coesa all’interesse e alla salvaguardia collettiva, ma si predispone soltanto alla mercé di poteri autenticamente banditeschi e lucrativi, poteri spesso planetari ma pur sempre, rigorosamente, privati.
Per questa ragione pensiamo che peculiarità irrinunciabile dello Stato sia quella di possedere, o controllare a secondo dei casi, tutti quei settori ritenuti strategici. Certo che alcuni settori pur strategici possono essere gestiti dal privato dietro visione dello Stato, ma questo non è il punto, perché la realtà sembra aver abbondantemente superato questo momento, avendo a che fare oramai con una latitanza mafiosa dello Stato stesso, che è in una rovinosa ritirata.
S’è di fatto costruita un’architettura tale per cui il funzionario di stato, o para-statale, posto a dirigere settori vitali, si trova non distolto dalla propria funzione pubblica, ma totalmente traviato da detto compito perché schiacciato dal peso del debito. Questo è vero per il magistrato, per il primario dell’ospedale, per un preside di una scuola elementare o per un magnifico rettore. Tutti devono far quadrare il magro bilancio. Né vale la poltrona e la nuova professionalità costruita come un manager. Risultato: si naviga a vista, e i servizi, che lo Stato dovrebbe dare ai cittadini, non per elemosina ma per diritto, non ci sono, non funzionano, quando per averli bisogna pure pagare.
Lo Stato indebitato, lo Stato somma di “uno”, singolarmente indebitati, non ha più nessuna volontà, unico segno d’esistenza, oltre alla pressione fiscale, è dato dal suo convincimento autodistruttivo, autolesionistico, diversamente chiamato privatizzazione, nessuna anima, alcuna vitalità, alcun pallore di unità dialettica-filosofica. Perde la sua sovranità, non persegue - non può farlo - il “bene comune” e cessa la Res-Publica.
Non c’è più alcun interesse generale, si rincorrono meri fini particolari, singoli, privati. S’è così realizzato l’esempio più grande, mai visto sulla faccia della terra, di social-riduzione, un insieme d’individui indipendenti, individuali, disgiunti e non relazionati. In altre parole la stessa operazione che nella decomposizione di un corpo organico svolgono i bio-riduttori, capaci di frammentare, allontanare, elementi un tempo facenti parte di un tutto uno. Questa operazione inizia quando l’organismo in questione è morto.
Sul cittadino di questo Stato in putrefazione, fantasma di se stesso, incombe il debito pubblico, padre di tutti servizi pubblici tagliati, più il debito privato che il disgraziato dovrà caricarsi se avrà la pretesa di tentare una vita propria. Doppio debito, doppio ricatto, unica ansia senza altra distrazione.
Luogo comune, oggi più che mai, è quello di dire: manca il denaro.
Questo è quello che ci sentiremo dire dal giudice, senza fogli per la stampante, così come dal pizzicagnolo che sta chiudendo i battenti.
Quel poco denaro che si ha dovrà essere usato per bollette o perlomeno per pagare gli interessi.
Ma da dove viene il denaro? Perché manca?
Si può rispondere che la sua rarefazione dipenda dalla mancanza di lavoro, e allora perché manca il lavoro? Una ragione di ciò possiamo trovarla asserendo che non vengono più prodotti beni che altrimenti rimarrebbero invenduti, o perché non vengono più fatte grandi opere, magari pubbliche. Ma le grandi opere non si realizzano perché mancano i fondi, così i beni non si acquistano per mancanza di disponibilità, alla fine quello a cui ritorniamo è ancora il denaro. Il ciclo di domande e rispose si chiude nel punto da cui eravamo partiti.
L’approccio che abbiamo avuto nei confronti del denaro è cambiato nel tempo, e questo ha coinciso con il cambiare non solo le abitudini ma anche le nostre convinzioni.
Si è stratificata una verità immutabile che conferisce al denaro dalla sua comparsa al suo uso, un aspetto talmente naturale tale da non farci fare più tante domande.
Se inizialmente la moneta nasce come un facilitatore di scambi e misura dei beni, nella fase successiva si è dato al denaro la stessa dignità del bene stesso. Innescando un dubbio tipo: Nasce prima l’uovo o la gallina? Il denaro o il bene?
Oramai queste iniziali aporie hanno trovato ai giorni nostri una soluzione: il denaro, nella sua forma cartacea e ancor di più in quella digitale, ha preso il sopravvento.
Il denaro, e chi ne ha pretesa di proprietà di conseguenza, ha superato il bene, ma in questo silente modo s’è consacrato il debito sulle spalle dell’uomo, indipendentemente dalla sua facoltà di lavoro e di capacità a produrre beni e servizi. Quest’uomo produce “solo” beni, non denaro, il denaro lo creano, lo stampano, le banche, e quindi dipenderà eternamente da loro. La stessa cosa che in fondo succede con i paesi “poveri” del globo, dal terzo mondo alla Grecia, quando il Fondo Monetario gli fa prestito.
Il problema dal quale non sembra possibile prescindere è nel denaro, ma non è il denaro. Il problema col denaro si pone dalla sua comparsa, ad esso si lega la ricchezza e la disgrazia degli uomini, ma l’approccio che bisogna avere nel suo giudizio in questo caso non vuole essere di natura morale, etica, finendolo con il paragonarlo allo “sterco del demonio”. La corretta domanda è: Di chi è il denaro? Di chi lo porta in tasca, liquido o attraverso carta di credito, viene da pensare, ma non è affatto così.
Di chi è la prima e ultima proprietà del denaro?
La moneta nasce come facilitatore economico in quanto con esso misuriamo il valore delle cose, ma la sua validità non è assoluta bensì relativa. Relativa alla comunità di uomini che sceglie di usare questo metro di misura. Quindi chi conferisce validità al denaro è la convenzione collettiva. Datosi che si sta trattando di qualcosa di estremamente importante e di una validità pubblica per eccezione, dovrebbe entrare in gioco lo Stato in modo obbligatorio. Lo Stato dovrebbe avere in questo caso, ancora più di tutti gli altri settori strategici di cui dicevamo prima, il controllo per la salvaguardia della sua comunità, in questo caso più che in altri per la difesa del “bene comune”. Ma, come oramai succede nei paesi occidentali, le Banche Centrali hanno invece l’esclusiva d’emissione della moneta, la producono, senza nessuna garanzia di riserva aurea, quindi a costo tipografico, e la prestano allo Stato e al paese. La prestano perché la rivogliono indietro ed anche con gli interessi. Si presta soltanto ciò di cui si ha proprietà, questo significa che la banca ha la pretesa di proprietà sulla moneta. La risposta alla domanda postaci sulla proprietà della moneta trova quindi risposta. Le banche centrali sono proprietarie del denaro, lo stampano, e lo prestano al sistema economico nazionale indebitandolo. Con questo sistema una parte del potere privato prende il sopravvento su tutto, potendo gestire all’origine la ricchezza.
E pensare che lor signori, paladini della libertà e del liberismo, onorano la proprietà privata come un dogma, come un qualcosa d’inviolabile, da difendere da quelli che potrebbero essere i residui di uno Stato troppo invadente, ma allo stesso tempo espropriano tutti di ciò che più gli appartiene, il denaro, ed ipotecano ogni possibile sviluppo. Visto che l’esproprio è attuato da enti e persone private, dato che di certo non è proletario, possiamo annoverarlo come atto di appropriazione indebita e di predazione, altrimenti detto furto.
Questa pretesa esercitata dalle banche sulla proprietà della moneta è illegittima, per il semplici motivo che spetta al popolo, allo Stato. La proprietà popolare della moneta non è uno slogan demagogico, ma solo la condizione naturale che stabilisce validità alla moneta. Questa validità è consacrata dal popolo che riconosce il denaro convenzionalmente e crea valore.
Quando lo Stato, per tacito assenso o inganno, lascia alla BC l’arroganza di gestire i nostri soldi rinuncia alla sua, alla nostra, sovranità; da questo momento ogni azione sarà pilotata dal debito che grava, si perde la facoltà per chiunque di gestire la cosa pubblica nell’interesse collettivo, unica rotta per qualunque timoniere sarà quella di tentare di onorare il debito non dovuto. Lo Stato italiano, in materia di soldi che riceve in prestito, è talmente succube che non è neanche più in grado di negoziare il tasso di sconto che è fissato esclusivamente del governatore della Banca d’Italia.
La proprietà bancaria
del denaro è un furto
Questo avvenne nel 1992 grazie a quel ministro del Tesoro, l’esimio Ciampi, che era già stato governatore della Banca d’Italia e che diventò poi Presidente della Repubblica, ovvero il massimo garante della Costituzione. Ciampi, successore, al Tesoro, di Piero Barocci, convitato della banca d’Inghilterra, delle banche d’affari e di Soros, assieme Draghi e Andreatta nel panfilo della Regina per programmare la svendita totale delle imprese strategiche pubbliche italiane, dalle telecomunicazioni all’energia.
Pensare che qualcuno crede ancora che il conflitto d’interessi sia nato con Silvio Berlusconi.
Lo Stato e i suoi cittadini sono completamente alla mercé della grande usura, e appurato che lo Stato, spogliatosi del suo ruolo costitutivo, quello comunitario, riveste esclusivamente quello amministrativo, repressivo, poliziesco, si rifà con questo sul povero Cristo che, come “uno” tra tanti “uno, non sa più da che parte pararsi.
Leggiamo ora un approfondimento tratto da una conferenza, sbobinata per l’occasione, tenutasi a Cave (Roma) nei primi di dicembre 2001, del prof. Giacinto Auriti che per l’efficacia e la cruda semplicità può toglierci altri dubbi al riguardo del tema fin qui trattato: Vogliamo parlare di un argomento vicino al demonio. Quando si dice che la moneta è lo sterco del demonio. Dobbiamo andare alla ricerca della verità, e se andiamo alla ricerca della verità dobbiamo partire da dati semplici, perché una teoria è valida quando nelle conclusioni coincide con il buon senso. Allora le prime tre parole per definire la moneta furono dette da Aristotele: la moneta è la misura del valore.
Per esempio questa penna ha il prezzo di mille lire, con le lire ho misurato il valore della penna. Da questa frase di Aristotele, di tre parole, dopo 2500 anni ne abbiamo aggiunte altre tre: la moneta è misura del valore, ma anche valore della misura. Perché? Perché ogni unità di misura ha necessariamente la qualità corrispondente di quello che deve misurare. Per esempio il metro ha la qualità della lunghezza, il chilogrammo la qualità del peso. La moneta ha la qualità del valore perché misura il valore. La moneta è misura del valore e quindi valore della misura, la misura è il potere d’acquisto.
Ma la misura che cos’è? La misura è un accordo, una convenzione: il metro cento centimetri, un chilogrammo mille grammi. La moneta è il metro di misura del valore.
Quando gli antiche parlavano di misura dicevano: la misura è un numero. La moneta è un numero. Poi sarà più grande o più piccolo, ma è un numero, come ogni unità di misura è però un numero speciale, perché misura del valore e valore della misura.
Cosa significa questo?Ogni convenzione ha bisogno di una manifestazione. La convenzione è un accordo giuridico e c’è bisogno della forma. Per esempio il rosso, il verde del semaforo sono forme del diritto, rosso non puoi attraversare, verde puoi attraversare, sono comandi dati con il colore della luce.
Altri comandi si possono dare con di pezzi di carta o una moneta d’oro. Perché è una forma di una fattispecie giuridica. Questa forma ha la funzione di manifestare la convenzione e di attribuire la proprietà del valore della misura cioè del potere d’acquisto.
Le pepite d’oro
e la truffa delle banconote
Quando la moneta era d’oro, chi trovava una pepita d’oro se ne appropriava senza indebitarsi con la miniera. Oggi a posto della miniera c’è la Banca Centrale. Al posto della pepita c’è un pezzo di carta. Al posto della proprietà c’è il debito. La banca emette prestando, ci espropria e ci indebita dei soldi nostri.
Questa truffa che ha trasformato i popoli da proprietari a debitori è avvenuta nel 1694, con la fondazione della Banca d’Inghilterra e la messa in circolazione della sterlina che è un pezzo di carta. Che cosa avveniva? La carta prendeva il posto dell’oro, tanto è vero che si è parlato di oro-carta. Anche la lira è una moneta oro-carta. Il dollaro? Tutto oro-carta.
Che cosa è l’oro-carta? E’ la più grande truffa di tutti i tempi, perché quando la moneta era d’oro, chi l’aveva in tasca era padrone della sua moneta. Noi oggi ci illudiamo di essere proprietari dei soldi che abbiamo in tasca. Noi siamo i debitori dei soldi nostri, perché la banca centrale emette solo prestando, quindi quando circola la moneta, circola un oggetto gravato di debito verso la BC, e come fa la banca centrale a riprendersi questi soldi che ha prestato? Con il fisco e gli interessi bancari.
Qui si capisce cosa è stata la Vandea, perchè quando la moneta era d’oro il prelievo fiscale era un atto di scambio tra il cittadino e lo stato. Io cittadino ti do i miei soldi e tu stato mi dai funzioni e servizi.
Una moneta debito, una moneta come quella della banca d’Inghilterra, che oggi domina tutto il mondo, perché tutte le banche centrali del mondo usano la tecnica di emettere pezzi di carta prestandoli, ci espropria e ci indebita del valore della moneta che creiamo noi. Quando abbiamo in tasca i soldi nostri noi abbiamo la proprietà provvisoria, come lo è il debitore. Il debitore è il proprietario provvisorio per la durata del prestito, fintanto il padrone non dice: ridammi i miei soldi, perché sono io che ti li ho prestati.
La Banca Centrale presta i soldi anche allo Stato. Quando voi sentite dire che la banca centrale è un organo dello Stato, sentite una falsità. La banca centrale è una società per azioni con scopo di lucro, tanto è vero che paga le tasse. Quindi una società privata con scopo di lucro che ci presta i soldi nostri, cioè carica il costo del denaro all’atto dell’emissione del duecento per cento, il cento per cento perché ci espropria dei soldi nostri e il cento percento perché ci indebita di altrettanto prestandoceli.
Tornando alla Vandea, prima il suo cittadino pagava le tasse limitatamente al costo delle funzioni sociali, ma con il nuovo avvento è nato il fisco come tecnica della grande usuraio, che succhia sangue ai popoli. E’ la grande usura del signoraggio monetario.
Ci danno in prestito
gli stessi nostri soldi
Dominerete su tutti i popoli del mondo e signoreggerete su tutti i popoli del mondo, perché presterete e non prenderete nulla in prestito.
Come si fa ad indebitare, ad essere creditori di tutti popoli del mondo e debitori di nessuno? C’è un solo modo: prestare moneta all’atto dell’emissione.
La banca stampa e presta, ma chi crea il valore della moneta non è chi l’emette ma chi l’accetta. Ne volete una prova? Prendiamo un governatore mettiamolo su un’isola deserta a stampare monete, nasce il valore monetario? Evidentemente no, perché manca con la collettività la possibilità di creare convenzione , la convenzione che è tipica di ogni unità di misura. Ogni misura è un accordo, ed allora che cosa è successo? E’ avvenuto che i popoli sono stati imbrogliati, perché s’è fatto leva sul riflesso condizionato.
Che cosa è il riflesso condizionato? Il cane poliziotto riesce ad individuare dove sta la droga perché sa che gli danno qualcosa. Il cane sa che se trova la droga mangia. Anche noi siamo soggetti ad un riflesso condizionato, inventato dalla massoneria inglese quando ha fondato la banca d’Inghilterra. Tutti i popoli per tradizione erano stati abituati a dare sempre un corrispettivo per avere denaro, ed allora all’atto dell’emissione hanno dato il denaro al popolo con il corrispettivo del debito. Cioè noi abbiamo preso in prestito, e prendiamo ancora oggi in prestito, i soldi nostri. Quindi siamo truffati perché espropriati ed indebitati. Il 10 marzo del 1993, dopo un congresso all’università Gabriele D’Annunzio, sono andato dal procuratore della Repubblica ed ho denunciato Ciampi, all’epoca governatore della banca d’Italia, e attuale presidente della Repubblica, per truffa , falso in bilancio, associazione a delinquere, usura e istigazione al suicidio.
Il suicidio da insolvenza è fatto dai grandi usurai, ed il primo grande usuraio è lui. Dopo questa denuncia mi ha chiamato il procuratore della Repubblica di Roma e mi fa: “Professore, lei ha dimostrato il reato, l’elemento materiale c’è, manca il dolo perché è sempre stato così”.
Che significa che è sempre stato così? La continuazione di un reato è un aggravante della responsabilità penale. Se c’era reato Ciampi sarebbe dovuto andare sotto processo, o io denunciato per calunnia, vie di mezzo non ce ne sono.
Abbiamo denunciato la Banca d’Italia, perché nel bilancio riporta a debito la moneta che presta. Ma come fa un debitore ad essere creditore? Se tu presti non sei debitore, sei il creditore, cioè il proprietario. Questo è falso in bilancio.
Le cose più difficili da vedere sono le cose ovvie, come i baffi che portiamo sotto il naso.
Noi abbiamo messo sotto gli occhi della gente la verità, di chi è la moneta?
La moneta è di chi la crea, e dall’esempio dell’isola deserta abbiamo dimostrato che è della gente e non del governatore.
Quindi la Banca Centrale deve stampare ed accreditare, e non stampare ed addebitare come fa, perché ci presta i soldi nostri.
Fui invitato all’hotel delle “Quattro stagioni” a Rieti per un convegno, c’è stato il direttore della Banca d’Italia di Rieti il quale venuto al microfono, a me rivolto, ha detto: Devo farle un rimprovero, lei ha insinuato che noi della Banca d’Italia siamo dei delinquenti. Lo corressi, io non ho insinuato, io ho affermato. Quindi se vi sentite offesi mi dovete denunciare per calunnia.
La guerra è mortale, perché se noi non sostituiamo alla moneta debito, la moneta proprietà, i giovani, le nuove generazioni, non avranno altra scelta che la disperazione.
Oggi il suicidio da insolvenza sta diventando una malattia sociale.
Quando la Banca Centrale all’atto dell’emissione carica il costo del denaro del 200% , la puntualità dei pagamenti è impossibile.
Vi ricordate il postino, una volta quando arrivava era una festa, oggi è diventata una preoccupazione, perché continuamente arriva il debito da pagare.
Non è democrazia, è usurocrazia
Questa è una prova che non stiamo vivendo in tempi di democrazia, ma di usurocrazia.
Per quanto riguarda la proprietà della moneta, si tratta di dare attuazione ad una norma costituzionale che c’è, è il secondo comma dell’articolo 42 della Costituzione italiana.
Questo comma parla del libero accesso alla proprietà per tutti. Cosa significa accesso alla proprietà? Significa dare contenuto economico, cioè creare un diritto della persona con contenuto patrimoniale, questo è diritto sociale. Il diritto sociale è stato tentato anche dalle scuole socialiste così come da quelle cristiane, democristiane.
Scopo della norma, nel diritto sociale nell’ambito dell’ordinamento giuridico, non è solo quello di dare la tutela giuridica, ma anche il contenuto economico è diritto.
Se noi andiamo a offrire al proletariato il libro del codice civile che tratta la proprietà privata, il proletariato non aveva e non ha nulla. E’ come offrire un paio di scarpe a chi non ha i piedi.
Ecco la ragione per cui noi dobbiamo creare un diritto sociale diverso da quello che è stato il socialismo reale così come dall’elemosina di Stato fatta dai democristiani, che include anche il principio del raccomandato di ferro.
Lo stato socialista, come è stato realizzato, ha pianificato la produzione e quindi ha pianificato i consumi, E’ stato come un allevamento dei polli, ad ogni pollo si pianifica quanti grammi di mangime dare. Questo socialismo non è stato uno Stato ma un allevamento di bestiame umano.
Che cosa è stata invece la democrazia cristiana se non l’istigatrice all’elemosina? Il proprietario non fa l’elemosina, ma ha il diritto di pretendere. Questa è anche la differenza tra il cittadino romano e l’elemosiniere come è stato invece concepito dalla democrazia cristiana.
Anche il diritto di pretendere vuol dire rispettare la dignità della persona, perché ti devo dare i soldi tuoi. I soldi si creano per convenzione senza costo, chi crea il valore della moneta è chi l’accetta per convenzione e chi lavora per creare potere d’acquisto.
Se io produco un libro, ho creato un aumento del potere d’acquisto della moneta. Chi crea convenzionalmente questo valore? Chi lavora? La collettività.
Noi ci dobbiamo riprendere i soldi nostri perché non vogliamo né l’allevamento di polli, né l’elemosina.
Si può pensare a una moneta che non è solo misura del valore, ma anche valore della misura. Una moneta proprietà del portatore e senza riserva. La riserva non serve. Ne volete una prova? L’oro ha valore senza riserva. Perché? Per convenzione. Ed allora il valore che cosa è?E’ la previsione del tempo, non è una qualità della moneta. Per esempio, perché la penna ha valore? Perché io prevedo di scrivere. Il coltello perché ha valore? Perché prevedo di tagliare.
Questa definizione del valore come rapporto tra fasi di tempo è stato il risultato di una ricerca fatta all’università, che è durata 34 anni. Dopo 34 anni ci siamo accorti che sul muro di un’antica casa, al centro di Teramo, era scolpita questa frase: “Non bene pro toto libertas venditur auro”, non è bene vendersi la libertà per tutto l’oro del mondo.
Noi vogliamo riprenderci i soldi nostri, quelli degli altri non li vogliamo. Quello che ci spetta dobbiamo in qualche modo pretenderlo.
Quando paghiamo le tasse, la maggior parte di quello che paghiamo, va a finire nelle tasche degli azionisti della Banca Centrale, che è una società per azioni a scopo di lucro. Vogliamo togliere la proprietà della moneta alla Banca Centrale e pagare le tasse semplicemente all’origine, non per gli interessi dovuti ai banchieri. Solo così la gente ricomincia a respirare, solo evitando la corsa fatta per pagare i debiti non dovuti. Solo così si eviterà di abbandonare i vecchi, o figli a casa da soli, solo così i giovani avranno una vita loro.
Aveva ragione Pound, l’usura uccide il feto nel grembo della madre, e che i politici sono i camerieri delle banche. Non perché il politico abbia animo servile, ma perché le regole del gioco non consentono altrimenti.
Termina qui la conferenza del prof. Auriti, a noi rimane la certezza che, fintanto ci sarà lo scacco delle Banche Centrali sull’emissione della moneta e sulla sua proprietà, ben pochi spazi di manovra ci saranno per la libertà degli uomini e per il riassesto di uno Stato che voglia onorare il suo scopo.
Bisognerà costruire un diritto sociale in grado di dare un contenuto economico reale e distribuito, e questo dovrà passare attraverso la cruna della moneta di popolo.

fonte: www.rinascita.eu

1 commento:

Mux ha detto...

Quante stronzate.

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