Acqua all’arsenico dai rubinetti italiani. Stop alle deroghe dall’Ue

La notizia è arrivata con la forza di una bomba: l’acqua di 128 comuni, sparsi in 6 regioni, non è potabile. Troppo alta la presenza di arsenico e l’Unione Europea ha detto “no” all’ulteriore, la terza, richiesta di deroga dai livelli fissati per legge, pari a 10 microgrammi per litro. In particolare, con una decisione presa a fine ottobre Bruxelles, annullando la “dispensa” già concessa dal ministero della Salute, ha stabilito che sono “potabili”, almeno temporaneamente, quelle acque con livelli di arsenico fino a 20 microgrammi, sono fuorilegge quelle con valori fino a 30, 40 e 50 microgrammi. Entrambe, sono vietate ai neonati e ai bambini fino a 3 anni. Popolazione coinvolta: oltre 1 milione di persone.

Ma, secondo quanto ha ricostruito il settimanale il Salvagente che alla questione dedica l’inchiesta di copertina del numero in edicola da giovedì 2 dicembre, le cose non stanno proprio così. L’allarme, spiega il giornale dei consumatori, c’è ed è anche più serio di quanto si siano
affrettate a dichiarare le nostre autorità (dal ministro Fazio all’Istituto superiore di Sanità, in molti hanno tentato di minimizzare l’impatto sulla salute dei cittadini), ma non riguarda più la lunga lista di comuni redarguiti dalla Ue. I motivi? Semplici, la deroga era stata richiesta oltre un anno fa e oggi quasi la metà dei “fuori norma” si è rimessa in regola.

Restano, però, poco meno di 70 comuni italiani (la lista integrale è pubblicata sul settimanale) dove, a giudizio dei tanti esperti ascoltati dal Salvagente, l’acqua non dovrebbe finire nei bicchieri né dei bambini né degli adulti, per un contenuto allarmante di arsenico (tra 20 e 50 microgrammi per litro). E in altri 22 (quelli della lista che anticipiamo) quanto esce dai rubinetti dovrebbe essere accuratamente tenuto lontano dai bambini.

Eppure la notizia sembra non aver scosso più di tanto gli amministratori locali. A rigor di logica, e di legge, la decisione europea avrebbe dovuta essere seguita da un immediato intervento dei sindaci che, per tutelare la salute dei loro cittadini, avrebbero dovuto chiudere i rubinetti o fare un’ordinanza pubblica per vietare l’uso alimentare dell’acqua di casa, almeno per i bambini. Eppure, al momento, solo due Comuni hanno preso provvedimenti di questo tipo: quello di Luson, provincia di Bolzano (dove entro 1 mese dovrebbe essere installato un impianto di trattamento), e quello di Velletri in provincia di Roma il cui sindaco ha dichiarato non potabile l’acqua per le utenze di 4mila abitanti e ha installato distributori di acqua “a prova di arsenico” per i bambini fino a 3 anni.

Gli altri, per una ragione o per l’altra, non hanno ritenuto di prendere alcun provvedimento. Un po’ perché, hanno tentato di spiegare, la richiesta di deroga è stata avanzata nel luglio 2009 e nel frattempo i valori sono rientrati nei limiti: la famosa lista dei 128 si sarebbe, dunque, dimezzata. Un po’ perché finché il ministero della Salute non recepisce la decisione europea vale ancora la deroga concessa all’inizio dell’anno.

Il muro di gomma
Ecco, per esempio, la nota diramata dalla Provincia di Viterbo che con 60 Comuni coinvolti è stata la più colpita: “Ad oggi il limite di arsenico nell’acqua consentito dalla legge è ancora pari a 50 microgrammi/litro e resterà tale fino a nuova comunicazione, cioè fino a quando la Regione Lazio stessa recepirà la nuova direttiva dell'Unione Europea”. A livello giuridico sarà anche così (qualche dubbio esiste perché, a norma, la “decisione” è un atto immediatamente valido senza bisogno di essere recepito) ma il dubbio è un altro: di fronte alla salute dei cittadini non si dovrebbe andare oltre gli atti formali e le carte bollate? Di fronte al fatto acclarato che l’acqua con certi livelli di arsenico è considerata “non potabile” si dovrebbe intervenire per informare e tutelare la popolazione anziché pararsi dietro alla presunta copertura di un documento ufficiale. Del resto ecco cosa ha risposto al Salvagente il ministero della Salute in proposito: “Spetta alle autorità locali (Regioni e Comuni) informare la popolazione interessata sulla limitazione d’uso dell’acqua relativamente alla sua ingestione (non c’è nessun problema per gli altri usi: docce, lavaggio stoviglie, ecc.) attraverso gli strumenti comunicativi ritenuti più idonei nella specifica realtà locale”.

Provvisorio definitivo
Ma come si è arrivati a questo punto? Giuliano Cannata docente di Pianificazione dei bacini idrografici all’Università di Siena ha le idee chiare: “In realtà l’acqua all’arsenico non è una novità, c’è sempre stata in alcune zone del nostro paese. La questione è scoppiata nel 2001 quando è entrata in vigore la normativa che ha imposto regole più stringenti su una serie di parametri, tra cui l’arsenico. Va detto però che da allora i valori sono scesi molto. Nel nostro paese sono sostanzialmente tre le cause della presenza di questo metallo: una di tipo geogenica, ossia legata al carattere vulcanico del territorio ed è sostanzialmente a questa causa naturale che si è fatto riferimento nella richiesta di deroga avanzata all’Unione Europea. Ma la presenza dell’arsenico è dovuta anche alla combustione del carbone e di altri combustibili di derivazione fossile e, soprattutto, all’uso in agricoltura di erbicidi e diserbanti che si concentrano nella falda e la inquinano”.
Se l’arsenico c’è sempre stato, certamente si è fatto poco per eliminarlo. Denuncia Stefano Ciafani responsabile scientifico di Legambiente: “Le deroghe dovevano servire ad affrontare e risolvere definitivamente il problema e invece sono diventate l’ennesimo escamotage per non intervenire. Per fortuna ci ha pensato l’Europa a fermare il perpetrarsi di una pratica dannosa per la salute pubblica. Ora i Comuni coinvolti facciano quello che avrebbero già dovuto fare subito dopo aver chiesto la deroga, ovvero, informare la popolazione e mettere a norma gli acquedotti”.

fonte: Kataweb.it

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