“Che senso ha continuare a snobbare il nucleare? Alla fine lo importiamo dalla Francia, tanto vale portarcelo in casa”. Lo sentiamo ripetere come un mantra ogni volta che si tocca la questione dell’atomo. Ma è veramente così? E se lo è, quanto pesa effettivamente l’energia atomica francese sul totale del nostro fabbisogno energetico? Per capirlo basta armarsi di pazienza e fare due calcoli. Partiamo dal “fabbisogno nazionale lordo” e cioè dalla richiesta totale di energia elettrica in Italia. Nel 2009, secondo i dati pubblicati da Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, è stato pari a circa 317.602 Gwh (Gigawatt/ora all’anno). Di questi, circa 278.880 Gwh (87,81%) sono stati prodotti internamente, in buona parte da centrali termoelettriche (77,4% delle produzione nazionale) che funzionano principalmente a gas (65,1% del totale termoelettrico), carbone (17,6%) e derivati petroliferi (7,1%): combustibili fossili, in larga parte importati. Il gas, che è la fonte più rilevante nel mix energetico italiano, arriva per il 90% dall’estero, soprattutto da Algeria (34,44% del totale importato), Russia (29,85%) e Libia (12,49%). La parte di fabbisogno non coperta dalla produzione nazionale viene importata, tramite elettrodotti, dai paesi confinanti.
In tutto, nel 2009, sempre secondo i dati di Terna, abbiamo acquistato dall’estero circa 44.000 Gwh di energia, al netto dei 2.100 circa che abbiamo esportato. 10.701 Gwh ce li ha ceduti la Francia, 24.473 la Svizzera e 6.712 la Slovenia. Tre paesi ai nostri confini che producono elettricità anche con centrali nucleari. In base ai dati pubblicati dalla Iaea (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), la Francia produce il 75,17% dell’elettricità con il nucleare, la Svizzera il 39,50% e la Slovenia circa il 38%. In termini di Gwh questo significa che importiamo circa 8.000 Gwh di energia elettrica prodotta dalle centrali nucleari francesi, 9.700 Gwh dalle centrali svizzere e 2.550 Gwh dall’unica centrale slovena. Quanto pesa quindi il nucleare estero sul fabbisogno italiano? Il conto è presto fatto. Basta dividere i Gwh nucleari importati mettendo a denominatore il fabbisogno nazionale lordo. Si scopre così che solo il 2,5% del fabbisogno nazionale è coperto dal nucleare francese, il 3,05% dal nucleare svizzero e lo 0,8% da quello sloveno.
In realtà, se si considera il mix medio energetico nazionale calcolato dal Gestore servizi energetici (GSE) in collaborazione con Terna, la percentuale di energia nucleare effettivamente utilizzata in Italia è pari ad appena l’1,5% del totale. Se si scompone il dato, si scopre che il nucleare francese pesa per circa lo 0,6% sul mix energetico nazionale. Ma c’è un’altro dato da considerare. Consultando i dati pubblicati da Terna si scopre infatti che l’Italia dal punto di vista energetico è tecnicamente autosufficiente. Le nostre centrali (termoelettriche, idroelettriche, solari, eoliche, geotermiche) sono in grado di sviluppare una potenza totale di 101,45 GW, contro una richiesta massima storica di circa 56,8 GW (picco dell’estate 2007). Perché allora importiamo energia dall’estero? Perché conviene. Soprattutto di notte, quando l’elettricità prodotta dalle centrali nucleari, che strutturalmente non riescono a modulare la potenza prodotta, costa molto meno, perché l’offerta (che più o meno rimane costante) supera la domanda (che di notte scende). E quindi in Italia le centrali meno efficienti vengono spente di notte proprio perché diventa più conveniente comprare elettricità dall’estero.
“E se dovesse succedere un incidente in una delle centrali dei paesi confinanti?”. Beh, non ci sarebbe da rallegrarsi, ma ancora una volta i dati possono esserci (un po’) di conforto. Le tre centrali nucleari più vicine all’Italia sono in Francia a Creys-Malville (regione dell’Isère), in Svizzera a Mühleberg (vicino a Berna) e in Slovenia a Krško, verso il confine con la Croazia. Creys-Malville è a circa 100 Km in linea d’aria dalla Valle d’Aosta, a 250 Km da Torino e a 350 Km da Milano. Mühleberg dista circa 100 Km dal confine piemontese e 220 Km da Milano. Krško è a 140 Km da Trieste. Ammesso che si possa usare come riferimento il disastro di Černobyl‘, in caso di incidente sembra che la più alta esposizione alle radiazioni si verifichi nel raggio di 30-35 chilometri dal reattore. Quindi nelle nostre valli alpine e nelle grandi città del nord si possono dormire ancora sonni abbastanza tranquilli rispetto all’eventualità che si costruisca un reattore dentro i confini nazionali.
fonte: Il Fatto Quotidiano
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
D'accordo su tutta la linea, l'unica osservazione che mi permetto di fare è che si, sul momento in caso di gravissimo incidente nucleare, il rilascio di particelle nucleari radioattive, potrebbe essere confinato nei km da Lei indicato.
Ma poi dovremmo fare i conti con i venti che, spirando da ovest verso est, dato che siamo nell'emisfero nord" andrebbero a riversarsi poi su di noi.
Sarebbe interessante sapere se e quanto le nostre alpi ci proteggessero.
Posta un commento