Dalle dighe al fracking: le fabbriche di terremoti

Le grandi opere (dighe, scavi e trivellazioni) possono causare immani catastrofi: dai terremoti alle eruzioni di fango. Il caso del fracking, una tecnica di trivellazione è emblematico. Ma non è assolutamente collegato ai terremoti in Italia.

Oggi, per provocare terremoti, basta poco: un’opera d’ingegneria, come una diga, una miniera di carbone o la trivellazione di un pozzo di petrolio.
Gli ultimi studi dimostrano infatti che, in molti casi, grandi opere come dighe e scavi, ma anche grattacieli, possono avere pesanti ripercussioni nel sottosuolo, provocando terremoti, frane ed eruzioni di fango.

Tensioni sotterranee
Come è accaduto in Cina il 26 maggio 2008: quando un terribile terremoto di 7,9 gradi della scala Richter colpì la regione del Sichuan. Morirono 80.000 persone.
Oggi si sa che a provocare il movimento della faglia era stata la costruzione di un’enorme diga.
Ma anche altri interventi dell’uomo, come l’iniezione diretta o indiretta di liquidi nelle rocce (fracking) o l’estrazione di materiale dal sottosuolo, possono provocare movimenti della crosta terrestre. Vediamo di fare chiarezza.

I terremoti indotti dalle trivellazioni
«Fino a pochi anni fa, nessuno immaginava che l’uomo avrebbe potuto avere un tale impatto sui fenomeni geofisici» dice Christian Klose, ricercatore della School of Applied Science della Columbia University, (Usa). Una sua ricerca conclude che dal 19° secolo a oggi più di 200 terremoti con una intensità compresa tra i 4,5 e i 7,9 gradi della scala Richter si sono verificati in seguito a lavori di geoingegneria.
Spiega Klose: «Molti dei terremoti in questione sono avvenuti in aree dove esistono estrazioni di carbone, gas o altri fluidi dal sottosuolo, e di solito non superano i 5 gradi Richter. Quando invece l’attività umana innesca il movimento di faglie, i sismi conseguenti possono essere molto più forti».
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