Quello che le banche non dicono
La Bafin (l'istituto di controllo delle banche in Germania) e la Goldman Sachs concordano su una stima delle perdite derivanti dall'attuale crisi finanziaria per cifre comprese fa i 500 ed i 600 miliardi di dollari, in gran parte dovute alle insolvenze sui prestiti "sub-prime" ed alle relative conseguenze sui cosiddetti derivati. Per quanto ci si riferisca a cifre pari a circa un terzo del PIL italiano, tuttavia si tratta solo di ipotesi riguardanti l'immediato presente, di cifre che non tengono in nessuna considerazione l'effetto valanga dei derivati stessi entro qualche mese o qualche settimana; quando cioé, negli Stati Uniti, comunque ben prima delle prossime presidenziali, gli “edge funds” strangoleranno le banche.
E' vero che in Europa l'esposizione per i sub-prime è stimata solo al 10% del totale, ma, anche qui, gli analisti vogliono farsi sfuggire un particolare non piccolo: se c'è recessione o anche solo insufficiente sviluppo, anche l'area dei debitori in difficoltà tenderà a crescere in maniera esponenziale. In Italia, ad esempio, le banche vantano modestissime sofferenze, semplicemente perché i prestiti difficili sono stati fatti uscire dai bilanci cartolarizzandoli e cedendoli alle società di recupero crediti.
Infatti, le banche registrano poche sofferenze, ma le esecuzioni forzate autorizzate dai tribunali sui beni dei debitori sono raddoppiate quest'anno rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Le banche conoscono la situazione e, infatti, si stanno attrezzando, anche con le rinegoziazioni e i "nuovi prodotti" ad affrontare i problemi autorizzando o contrattando periodi di sospensione dei pagamenti. In questo modo non ci sono effetti sullo stato patrimoniale delle banche creditrici.
In realtà le banche, quando non ricevono le rate dei mutui e dei prestiti non perdono quasi nulla, semplicemente registrano mancati guadagni. Si sa che il numero dei debitori - famiglie, imprese e pubbliche amministrazioni locali - che non riuscirà a mantenere gli impegni è destinato ad aumentare; ma le banche temono, come è già successo in USA e Gran Bretagna che i risparmiatori, presi dal panico, si riversino presso gli sportelli per ottenere la restituzione dei depositi.
Ora, la liquidità in possesso del sistema bancario è una frazione minima dei valori in gioco, ma le banche non vogliono dire la verità sul proprio funzionamento, vale a dire sulla possibilità di sopportare senza problemi il mancato pagamento delle rate dei mutui e dei prestiti, perché ciò cambierebbe tutte le regole del gioco. Basterebbe impostare i bilanci delle banche in modo più razionale - evitando di confondere i depositi e le passività - per ottenere una informazione trasparente sui costi effettivi che le banche affrontano nell'emettere un prestito.
Non dovrebbe meravigliare, pertanto, se, nell'immediato futuro, il sistema bancario elaborerà ulteriori strategie per congelare i debiti più difficili non cartolarizzati o esternalizzati. In questo modo si creerebbe una situazione simile a quella che già esiste per le tasse: i lavoratori regolari a reddito fisso le pagano anche per quelli che le possono evadere. Occorrrebbe, quindi, approfondire l'argomento, per arrivare, finalmente, ad una riduzione generalizzata e non selettiva dell'indebitamento verso le banche che potrebbe restituire capacità di acquisto a tutte le famiglie con effetti positivi per tutto il sistema economico e produttivo.
Non ci sono, al momento, altre strade di recupero dei redditi dei cittadini e, infatti, molte delle prospettive lanciate durante questa campagna elettorale, non sono altro che promesse irrealizzabili. Se non si cambierà l'approccio alla politica economica, dopo le elezioni occorreranno nuovi, inutili e gravosi sacrifici a fronte di redditi insufficienti e situazioni sempre meno governabili.
fonte: www.indicius.it
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