Si parla di nuove centrali, ma in Italia i rifiuti radioattivi degli anni ‘70 giacciono ancora, pericolosamente, nei siti di stoccaggio temporaneo: ecco dove.
Si parla ormai ovunque di nucleare, ma pochi sanno che l’Italia ha già una capitale atomica: Saluggia, in provincia di Vercelli, il paesino italiano in cui sono stoccati oltre l’80% dei rifiuti radioattivi presenti nel Belpaese.
Una scelta pesante da sopportare, per un paese di 4.201 abitanti, soprattutto se si considerano le condizioni geografiche del sito deputato allo stoccaggio: a pochi metri dalla Dora Baltea e a monte dei pozzi del più grande acquedotto del Piemonte.
Il sito di stoccaggio di Saluggia doveva essere temporaneo, in attesa che il Governo allestisse un impianto centralizzato nazionale: peccato che la situazione di “temporaneità” si protragga ormai da quasi 30 anni.
Il problema risale agli anni ‘70, quando l’Eurex, impianto di processamento dei combustibili nucleari, entrò in funzione proprio a Saluggia. Ora il sito è in gestione alla Sogin (società gestione impianti nucleari) che sul proprio sito riporta: «la costruzione di Eurex, acronimo di Enriched Uranium Extraction, è iniziata nel 1965. L’impianto è entrato in funzione nel 1970. Enea, che è proprietaria del sito, vi svolgeva attività di ricerca sul riprocessamento del combustibile, un’operazione che permette, attraverso un adeguato trattamento, di separare e recuperare le materie che possono essere riutilizzate. Le attività sono state interrotte nel 1984. Da allora è stato garantito il mantenimento in sicurezza delle strutture e degli impianti a tutela della popolazione e dell’ambiente. Nel 2003, Sogin ha assunto la gestione dell’impianto. La nostra missione è il suo smantellamento, sicuro e sostenibile, adottando i più severi standard di sicurezza».
La realtà è però diversa: per gestire in maniera più sicura i rifiuti radioattivi, sarebbe necessario solidificarli. Purtroppo nel sito di stoccaggio vercellese le soluzioni liquide radioattive non sono mai state solidificate: l’ultima occasione persa risale a un mese fa, quando la Sogin ha annullato “per autotutela” il bando di gara per l’appalto dei lavori di realizzazione di Cemex, l’impianto di cementificazioni di soluzioni radioattive nel sito Eurex.
Come sottolinea Gian Piero Godio, esperto energia di Legambiente Piemonte, la soluzione è tutt’altro che vicina: «il problema principale del nucleare è che a fronte di una moderata produzione di elettricità, si ha una sconfinata produzione di materiali radioattivi e tossici, la cui pericolosità è grande ed è durevole nel tempo».
In Piemonte ci sono 3 siti interessati dai residui nucleari: Saluggia, Trino e Bosco Marengo. Tra questi, quello situato a Saluggia resta il più pericoloso:qui è stato accumulato il combustibile nucleare esausto, al fine di recuperare il plutonio. Il sito contiene così l’84% del materiale radioattivo presente in Italia. La situazione è preoccupante perché, a detta dello stesso Gian Piero Godio, «questa è l’area di gran lunga più inidonea: nelle vicinanze scorre il più grande affluente del Po, la Dora Baltea e a 1,5 Km si trova l’acquedotto più importante del Piemonte, che ha i pozzi proprio lì sotto».
il sito di stoccaggio di Saluggia contiene l’84% del materiale radioattivo presente in Italia. La situazione è preoccupante perché, a detta dello stesso Gian Piero Godio, «questa è l’area di gran lunga più inidonea: nelle vicinanze scorre il più grande affluente del Po, la Dora Baltea e a 1,5 Km si trova l’acquedotto più importante del Piemonte, che ha i pozzi proprio lì sotto».
Da non dimenticare l’incidente del 2000, quando,secondo il premio nobel Carlo Rubbia, si sfiorò “una catastrofe planetaria”: un’alluvione alzò il livello della Dora Baltea, che inondò il deposito Eurex, rischiando di trascinare con sé veleni pericolosissimi, tra cui plutonio e uranio.
È chiaro quindi che, mentre una parte del governo pensa al ritorno al nucleare, ricorda Gian Piero Godio, «non si riesce nemmeno a mettere in una condizione di decente sicurezza il risultato della stagione nucleare passata».
Inutile poi festeggiare la partenza di alcuni di questi materiali per il centro francese di La Hague, dove verranno lavorati per recuperare il plutonio, e successivamente rispediti al mittente: «nessuno dice che questi viaggi all’estero di elementi di combustibile irraggiati sono semplicemente inutili e pericolosi, in quanto i rifiuti radioattivi da conservare poi per migliaia di anni torneranno comunque in Italia e l’attività di riprocessamento che verrà effettuata a La Hague in Francia aumenterà di molto i rischi di contaminazione, oltre a permettere di recuperare il Plutonio, materiale che può anche avere un utilizzo militare».
E se la soluzione, secondo lo stesso esperto energia di Legambiente Piemonte, sarebbe evitare il nucleare, quindi la produzione di questi scarti radioattivi, una volta che i materiali ci sono, devono almeno essere depositati in siti che siano in grado di dare la massima sicurezza possibile: spetterebbe quindi a Sogin realizzare con urgenza l’impianto in grado di solidificare i liquidi radioattivi, rendendoli così trasportabili in un luogo meno assurdo, ma la Società gestione impianti nucleari perde tempo da anni.
Gian Piero Godio si dice preoccupato: «è dal 1986 che aspettiamo la solidificazione di queste sostanze pericolose, possibile che in 30 anni non si sia provveduto? Non so perché la Sogin abbia annullato il bando, ma, in caso di errore formale nella scrittura del bando stesso, credo sarebbe stata più logica una semplice correzione: il fatto che si sia deciso per l’annullamento potrebbe significare l’esistenza di altri piani, in alternativa alla costruzione di Cemex».
Ed in effetti l’annullamento del bando per “autotutela” non è molto chiaro: abbiamo provato a intervistare un responsabile Sogin in merito, ma non abbiamo avuto fortuna. Riproveremo.
fonte: Virgilio Go Green
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