L’Organizzazione mondiale della sanità prevede che i decessi da
cancro nel mondo passeranno da 7,6 milioni nel 2008 a 13,2 milioni nel
2030.
Nonostante la scienza vada avanti, seppur a rilento,
nel mondo e nel Nostro Paese si continua a morire di tumore. Peraltro,
in Italia, alcune statistiche su base europea confermerebbero che alcuni
tumori sono più frequenti rispetto alla media del resto dei paesi del
Vecchio Continente.
Ecco perché, secondo le previsioni degli
economisti, il mercato dei farmaci antitumorali dovrebbe diventare nel
prossimo futuro la gallina dalle uova d’oro dell’industria farmaceutica.
A far la parte del leone tutt’ora e probabilmente nei prossimi anni
saranno i colossi svizzeri, in particolare Roche e Novartis.
Le cifre che gli analisti dell’istituto IMS Health
del Connecticut, hanno previsto sono da capogiro: il mercato legato ai
medicinali contro il cancro crescerà fino a 75 miliardi di dollari nel
2015. Facendo un raffronto con il 2009 quando la “fetta” era di 54
miliardi, la crescita sarà quasi del 40%.
È ovvio che l’obiettivo
proprietario per gli operatori del settore è quello di scoprire una cura
per una patologia che secondo alcune statistiche arriverà a colpire una
persona su tre nel corso della vita.
È altrettanto vero che ad
affrontare la stessa sfida da una parte vi sono le organizzazioni senza
scopo di lucro e dall’altra le multinazionali farmaceutiche che a
differenza delle prime possono spendere circa trenta volte di più per la
ricerca.
Per fare un esempio, la Roche, che più di cinquant’anni fa
ha sintetizzato la sua prima molecola contro il cancro, commercializza i
tre più importanti farmaci contro i tumori (cinque nella ‘top ten’) e
controlla circa un terzo del mercato mondiale. Il settore oncologico
rappresenta più della metà del volume d’affari della multinazionale con
sede a Basilea. Solo lo scorso anno, quest’azienda ha investito la
stratosferica somma di 8,5 miliardi di franchi nella ricerca e sviluppo,
che corrisponde al 19% delle sue vendite.
Riuscire ad immettere sul
mercato un nuovo farmaco è un processo lungo e costoso, che può durare
fino a trent’anni. Ed addirittura negli ultimi tempi l’iter è diventato
ancora più complicato per le restrizioni in tema di sperimentazioni e di
applicazioni sull’uomo.
Se un quarto del mercato è costituito dai
trattamenti tradizionali, come la radio e chemioterapia, la nuova
frontiera è quella di raggiungere trattamenti più individualizzati, più
efficaci e con minori effetti collaterali, poiché basati sulla
comprensione della biologia tumorale. D’altro canto, queste nuove
terapie mirate, stanno rivoluzionando il mercato, anche perché sono più
costosi da sviluppare, ma nello stesso tempo permettono di migliorare i
trattamenti.
La storia anche recente c’insegna che non sempre le
scoperte hanno il risultato sperato. In questo senso l’esempio del
Glivec è illuminante. Quando è stato approvato nel 2001, il “Time” gli
aveva addirittura dedicato una sua copertina. All’epoca, quindi, si era
pensato che questo farmaco mirato sviluppato dalla Novartis (quarto
medicinale contro il cancro più venduto al mondo) potesse rappresentare
il miracolo tanto sperato contro i tumori. A distanza di dieci anni le
aspettative si sono un po’ affievolite.
Inoltre, rispetto a qualche
anno or sono, l’industria farmaceutica ha maggiori difficoltà a
realizzare e commercializzare i farmaci cosiddetti ‘blockbuster’, ossia
quelli che sviluppano un fatturato di almeno un miliardo di dollari
l’anno. Le ragioni sono diverse ed eterogenee secondo l’IMS Health:
scadenza dei brevetti, esigenze maggiori delle autorità di regolazione,
riluttanza da parte dei poteri pubblici a pagare farmaci molto costosi.
In
questo momento storico, la via prescelta dalle multinazionali è di
scoprire nuovi farmaci o acquistare brevetti particolarmente
promettenti, che possono sfociare in medicinali che abbiano le
caratteristiche che abbiamo illustrato anche in termini d’innovazione
rispetto al passato.
Anche perché, a causa delle naturali regole del
mercato, chi sviluppa farmaci non ha nessun interesse ad avere prodotti
senza brevetto. È ovvio che le industrie farmaceutiche fanno un calcolo
di mera convenienza in quanto non è raro il caso che le ricerche non
possono essere ammortizzate, poiché il mercato è troppo ristretto o il
brevetto sia sul punto di scadere. Un po’ come accade sulle terapie per
le malattie “rare” per le quali le case farmaceutiche fanno il
semplicistico ed egoistico calcolo del “gioco che non vale la candela”.
Ecco
perché, rileva Giovanni D'Agata, fondatore dello “Sportello dei
Diritti”, in questa difficile lotta contro la “peste” del terzo
millennio dovrebbero essere i governi ad intervenire con investimenti
massivi nella ricerca che sopperiscano alle gravi carenze che le dure
regole del mercato determinano quando si tratta comunque di salute dei
cittadini.
Sportello dei Diritti
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