Gli specialisti del Pentagono e della Nasa hanno sciolto, con una conclusione da brivido, il mistero per quanto è accaduto l’8 ottobre nel cielo dell’Indonesia. Erano le 11 del mattino quando un tuono poderoso faceva tremare le pareti delle case della città di Bone lungo la costa e la gente correva in strada pensando al terremoto. Ma guardando in cielo assistevano a una pioggia di polveri e a nuvole di vapore che la tv indonesiana riprendeva mostrando l’enigmatico fatto e diffondendo la paura.
Una preoccupazione maggiore assaliva i sorveglianti del Pentagono che nei continenti gestiscono l’International Monitoring System, cioè quella catena di stazioni che con sistemi a infrasuoni registrano eventuali esplosioni nucleari sul pianeta o nell’atmosfera. Così la Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty Organisation controlla il rispetto degli accordi sul bando dei test nucleari. Anche a 18 mila chilometri di distanza da Bone gli apparati mostravano che qualcosa di grave e violento era accaduto nell’atmosfera. Gli specialisti dell’US Air Force e di alcune università che lavorano per la Nasa riuscivano dalle registrazioni a risalire alla causa dell’evento.
Un asteroide di dieci metri di diametro era caduto nell’atmosfera alla velocità di venti chilometri al secondo. Sbriciolandosi nell’impatto soprattutto a un’altezza tra i dieci e i venti chilometri scatenava un’energia di 50 kton (equivalente a cinquantamila tonnellate di tritolo), vale a dire una potenza oltre tre volte superiore alla bomba atomica di Hiroshima, che era di quindici kton. Per fortuna la natura del bolide cosmico e la sua taglia consentivano la disintegrazione e la dissipazione in cielo dell’energia senza provocare danni al suolo se non un’onda d’urto che ha fatto temere il peggio. Ora è tutto chiaro, ma quanto è successo ha aumentato l’inquietudine per un’eventualità fino a epoche recenti nemmeno considerata. Statisticamente corpi di taglia simile cadono una volta ogni dieci anni. Ma il guaio è che non si riesce ad accorgersene come in Indonesia perché gli strumenti disponibili non li «vedono».
«Al di sotto dei cento metri — dice Tim Spahr, direttore del Minor Planet Center di Cambridge (Massachusetts, Usa) sovrintendente a questo mondo dei pianetini — ne abbiamo registrati ben pochi. Ma non certo di dieci metri. Per scoprirne anche di più grandi intorno ai venti metri occorrono telescopi più potenti e costosi». Il pericolo esiste, infatti, a partire da questa taglia perché sarebbe in grado di provocare disastri in superficie. Quello caduto a Tunguska nel 1908 aveva un diametro di cinquanta metri e distrusse la foresta per duemila chilometri quadrati. Oggi esiste una rete di sorveglianza, ma è ancora troppo ridotta. Il Congresso americano ha chiesto alla Casa Bianca di elaborare una strategia precisa entro l’ottobre 2010 tenendo conto delle indicazioni che entro l’anno elaborerà il National Research Council.
Intanto la scorsa settimana al congresso della Società geologica americana, Sankar Chatterjee, dell’Università del Texas, ha presentato i risultati di un’indagine che cambia lo scenario all’origine della scomparsa dei dinosauri. Chatterje ha dimostrato che l’asteroide o cometa di quaranta chilometri, arrivato sessantacinque milioni di anni fa, cadde non nella Penisola dello Yukatan, ma in India, nel bacino di Shiva. L’impatto creò uno strato di polvere che avvolse l’intero pianeta sconvolgendo il clima.
fonte: www.corriere.it
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